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30 ottobre 2003

È morto Alessandro Galante Garrone

È morto stamattina, dopo una lunga malattia, nella sua casa di Torino, Alessandro Galante Garrone. Galante Garrone aveva 94 anni. Quella di Alessandro Galante Garrone è stata una vita interamente dedicata all’impegno civile vissuto in prima persona e a quelle idee di de­mocrazia radicale che aveva sostenuto, oltre che con l’azione, con idee, scritti e con la sua attività politica. Storico e giurista, nato a Vercelli nel 1909, Ga­lante Garrone si era dedicato per oltre trent’anni alla carriera di magistrato e solo nel 1963 era passato all’insegnamento nell’Uni­versità. Durante la Seconda Guerra Mondiale, era stato partigiano combattente e rappresentante del Partito d’Azione nel Cln (Comitato di Liberazione Nazionale) del Piemonte. Da allora era sempre rimasto fedele al filone della democrazia radicale, un’idea da lui sempre sostenuta con l’intensa attività pubblicistica. Senatore della sinistra indipendente, molto sensibile alle tematiche dei diritti civili, aveva inoltre dato alle stampe numerosi manuali di educazione civica per le scuole. Nel dicembre 1993 era stato tra i fondatori, insieme ad Aldo Garosci, Franco Venturi, Arial­do Banfi, Giorgio Parri e Aldo Visalberghi, del­l’associazione “Movimento d’Azione giustizia e libertà”. Una denominazione esplicita visto che i promotori del movimento erano partigiani della formazione “Giustizia e libertà” e militanti del “Partito d’Azione”. E proprio a quelle posizioni politico-culturali questa associazione, come lo stesso Alessandro Galante Garrone, intendeva riallacciarsi per farle uscire dall’emarginazione voluta dal regime partitocratico e per riaffermare e trasmettere il pensiero di Gaetano Salvemini, la critica liberale di Piero Gobetti e il socialismo liberale di Carlo Rosselli. Orgoglioso di Torino per la sua tradizione liberale e antifascista, per aver fatto da sfondo alla sua lotta partigiana nella Resistenza, ma non soggiogato alla città fino al punto da rinunciare alle sue convinzioni. Tanto che nel no­vem­bre del 2000 rifiutò l’onorificenza del sigillo civico. Un rifiuto – spiegò lo storico ed ex magistrato – perché non c’era stato l’avallo dell’intero schieramento politico. Le polemiche, in quei giorni, furono aspre e lui, senza astio, ma con la verve polemica del politico e del giurista, contrattaccò. “Sono fiero – disse – di restare soltanto cittadino torinese. Questo non me l’hanno tolto. Mi avessero tolto la cittadi­nan­za come a Gae­tano Salvemini sotto il fascismo, allora avrei ragione di deprecare. Posso essere un buon cittadino per i pochi anni che mi restano”. A Torino è dedicato l’ultimo suo articolo ap­par­so nell’aprile scorso sul quotidiano “La Stam­pa”. Descrive il suo 25 aprile del ’45, lui e il fratello Carlo mentre scendono in bicicletta dal Canavese verso Torino, di ritorno da una missione tra le bande di Giustizia e Libertà.

 



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