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12 luglio 2003

Omicidio Clelia Rossi: forse individuato l’assassino

È Antonino Spanò, 46 anni, autotrasportatore palermitano, l’as­­sassino di Clelia Ros­si, 38 anni, l’impiegata di Feletto (Torino) uc­cisa il mattino del 15 no­vem­bre 2001, con 16 coltellate, mentre si stava recando al la­voro a Torino. Un omi­cidio d’impeto, senza movente, senza una spiegazione che non sia la follia. Lo sostiene, nell’ordinanza di custodia cautelare, il gip Sabrina Noce e lo sostengono i Carabinieri del Nucleo Operativo di Torino. Il provvedimento è stato notificato allo Spanò, nel carcere di Biella, dove si trova detenuto per l’omicidio di un’altra donna, l’aostana Renata Torgneur, avvenuto tre mesi dopo quello di Clelia. Il camionista è scoppiato a piangere, urlando la sua innocenza. Ma le 22 pagine dell’ordinanza sono un fardello pesante. Intanto, c’è una rigorosa ricostruzione dell’accaduto con la conferma di quanto già si sospettava: Clelia Rossi, quel mattino, non aveva appuntamenti con nessuno, ma si fermò sulla piazzola per mandare un sms ad un amico, come era solita fare tutti i giorni, poco prima delle 7. Ma quell’sms fu troncato dall’intervento del folle (il telefonino fu ritrovato acceso) che uccise la donna probabilmente mentre cercava di allontanarsi dall’auto, in un disperato tentativo di fuga. L’ora dell’aggressione è stata fissata intorno alle 6,40. E proprio in quegli istanti sono diversi i testimoni che hanno notato, sulla statale 460, un autocarro furgonato con cabina arancione e cassone bianco, identico a quello dello Spanò. Ma ci sono altre le prove contro di lui. C’è, basilare, l’esame della cella Tim installata a Leinì (Torino): è la cella che “registra” la presenza del telefonino dell’autotrasportatore che si trova, al momento del delitto, lungo la statale 460. C’è poi il pe­so delle intercettazioni ambientali dei colloqui avvenuti in carcere con i parenti, in stretto dialetto pa­ler­mitano. Ci sono pre­ci­si riferimenti a stracci sporchi, alle mani lor­de di sangue lavate in una fontana, al coltello get­tato in un burrone. Il gip par­la di “elementi gravi, precisi e concordanti”.

 



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