Morto Romano Levi, fece conoscere la poesia della grappa
È morto Romano Levi, da oltre trent’anni conosciuto nel mondo con il soprannome che gli affibbiò il guru dei vini, Luigi Veronelli: per tutti ormai era il “grappaiolo angelico”. Famose le sue bottiglie di grappa, ognuna contraddistinta da etichette manoscritte dal contenuto poetico. Oggi le più pregiate sono quelle che riportano l’allegoria della “donna selvatica”. “Ogni bottiglia – diceva infatti – è un individuo irripetibile, com’è individuo a sé chi la prepara”. La sua grappa è prodotta con il metodo antico, il fuoco diretto sulla caldaia di rame. Acceso ogni anno a metà settembre, rimane vivo fino a primavera inoltrata, alimentato con residui compressi dei graspi e dei vinaccioli distillati l’anno prima. Nato nel 1928, cominciò a distillare a 17 anni, prendendo la conduzione della distilleria che suo padre aveva fondato nel ’25. Papà Serafino Levi morì presto, nel ’33 e la mamma tenne in piedi l’azienda fino al ’45 quando passò il testimone ai due figli, Romano e Lidia. Negli anni la sua vecchia cascina sullo stradone che collega Alba e Castagnole Lanze, è stata meta di pellegrinaggio, “eppure – ci scherzava lui – non sono il padre Pio della grappa”. Piuttosto – com’è scritto in una delle sue etichette artistiche – “siamo angeli con un’ala sola. Possiamo volare solo restand o abbracciati”.