Molino Cordero: per il perito la tragedia poteva essere evitata
L’esplosione al Molino “Cordero” di Fossano, nel Cuneese, che il 16 luglio 2007 costò la vita a 5 persone, poteva essere evitata. Lo sostiene il perito incaricato dal tribunale di Cuneo, l’ingegner Luca Marmo, esperto in misure di sicurezza aziendali e atmosfere esplosive, docente al Politecnico di Torino, che ieri l’ha depositata a Cuneo. Il giudice del processo in cui sono imputati per omicidio colposo plurimo i titolari della ditta, Aldo e Dario Cordero, ha incaricato il tecnico di spiegare cosa causò la deflagrazione e se ci sono responsabilità dei due datori di lavoro. Nella perizia, di 150 pagine, Marmo scrive che “certamente mancava un dispositivo necessario a garantire la sicurezza dell’operazione di ripompaggio della farina verso i silos”. Per l’esperto, come già per il perito del pubblico ministero in fase di indagini preliminari, mancava la messa a terra del camion da cui la farina veniva aspirata. Misura queste che, se adottata, con ogni probabilità avrebbe scongiurato l’esplosione. La tragedia avvenne nella tarda mattinata del 16 luglio 2007 quando Mario Ricca, autotrasportatore della Molino Cordero, si preparava a portare trecento quintali di prodotto alla vicina ditta Colussi che fa pasta e biscotti. Era nel cortile all’interno dell’azienda. Finito il carico, Ricca si accorse che nell’autocisterna c’era farina di troppo e decise di riscaricarla. Collegò l’apertura della cisterna al manicotto di tela e gomma, sei metri di cavo per arrivare al tubo di ripompaggio che, dentro il mulino, avrebbe riportato la polvere nel silo. Per Marmo, nel manicotto e nel tubo di ripompaggio c’era poca farina e molta aria, la stessa che serviva a ripompare in alto le particelle. I granellini sfregavano contro le pareti del manicotto e si formavano cariche elettrostatiche. Un processo prevedibile. Quando le cariche raggiunsero il tubo di metallo diventarono una miccia accesa in un ambiente altamente infiammabile. Partì la prima esplosione e il suo fronte, in frazioni di secondo, raggiunse altri condotti, le fiamme uscirono dalle giunzioni dei tubi e invasero vari locali dell’azienda. Quando l’onda di fuoco e gas raggiunse il silo ci fu la potente deflagrazione, udita a chilometri di distanza. Poi i crolli, l’avanzata del fuoco e l’esplosione dell’autocisterna. Mario Ricca fu l’unico a morire sul colpo. I colleghi Valerio Anchino, Marino Barale, Massimiliano Manuello e Antonio Cavicchioli (tecnico esterno all’azienda) morirono per le ustioni nei dieci giorni successivi.