Francesco Cirio non era napoletano, era monferrino

Nella notte di Natale del 1836, nasceva a Nizza Monferrato, un bambino destinato a cambiare le abitudini alimentari del nostro paese e non solo. Francesco Cirio. Già proprio lui, quello del “Come natura crea…”
E’ una storia d’altri tempi. Una storia di povertà e fame di ricerca di riscatto con volontà, determinazione e grande intuito. Manca purtroppo il lieto fine, ma la vita è anche questo: afferrare un sogno e poi distruggerlo con le proprie mani.
L’infanzia di Francesco non fu facile, la dura situazione economica della famiglia lo costrinsero ben presto a cercare una strada propria verso l’autonomia. Il padre Giuseppe, commerciante di granaglie e sementi, ebbe il merito di trasmettergli l’arte e il gusto per il commercio. In quella situazione l’istruzione era l’ultimo dei problemi, quello che contava era che i ragazzi trovassero presto un lavoro e aiutassero a sostenere le famiglie. Infatti, a soli 11 anni; Francesco ha già una piccola attività staccata da quella paterna. La famiglia Cirio viveva a Fontanile e lui si recava ogni giorno, a piedi, al mercato di Nizza Monferrato dove riempiva una grossa cesta con differenti ortaggi e legumi, caricava quindi la cesta sulle spalle, tornava al paese e vendeva le sue verdure a domicilio.
Dopo pochi anni decise di trasferirsi a Torino, in via San Massimo 53, in compagnia del fratello Ludovico, e proseguire la stessa attività: verso l’ora di chiusura del mercato di Porta Palazzo, caricava la cesta di ortaggi e l’andava a vendere nelle zone periferiche della città. Già nel 1850, a soli 14 anni, era riuscito a comprarsi un carretto da trainare a mano, con questo riusciva ad accontentare e a coccolare ancora più clienti. Ma Francesco aveva un pensiero costante, un problema che in Italia non era stato ancora risolto, e su questo si arrovellava da tempo: come conservare le verdure fresche, come appena raccolte, per poterle distribuire durante tutto l’anno.
Il giovane Cirio non inventò nulla, mise solo in pratica un sistema di conservazione, inventato da Nicolas Appert, generale napoleonico, nel 1795 detto appunto appertizzazione, che consiste nella sterilizzazione dei cibi cotti e conservati in barattoli chiusi ermeticamente.
Nel 1857, Francesco Cirio si appresta a diventare il padre dell’industria conserviera italiana, affittò infatti due stanzette in Borgo Dora e fece installare due grandi caldaie da bucato. In maniera totalmente empirica, non avendo nessuna conoscenza di chimica e fisica, riuscì a trovare il modo per conservare i piselli. Un geniale analfabeta!
Il successo fu immediato e dopo poco Francesco lasciò le due stanzette per impiantare una piccola fabbrica, sempre a Porta Palazzo. Tecnici e operai entrarono a far parte del personale e lui estese il campo della conservazione ad altri legumi, alla frutta e alle carni.
Nel 1867 Cirio si recò alla grande Esposizione Universale di Parigi, inutile dire che i suoi prodotti ottennero un clamoroso successo. L’attività venne quindi ampliata in tutta Italia e costituì un fortissimo incentivo per l’agricoltura, il commercio si diffuse ben presto in tutta Europa. Il ministro Depetris varò addirittura la “Legge Cirio” che consentiva ai vagoni bianco rossi e verdi della ditta, di utilizzare la linea ferroviaria a costi bassissimi.
L’attività di Francesco fu frenetica e non conosceva sosta, aprì un negozio in via Palazzo di Città e gestì un albergo solo per capire meglio i gusti della gente, esportò uova su larga scala. In provincia di Lecce diede via alla produzione di tabacco, a Terracina fondò la Colonia Elena, 3000 ettari di terreno avuti in cambio del rifiuto a candidarsi in Parlamento. Terreno che fece disboscare, bonificare, e mettere a coltura con orti, frutteti e vigneti.
Non accostate però la figura di Francesco Cirio a un capitano d’industria, a un manager rampante: niente sarebbe più sbagliato. Cirio era un eroe romantico animato da sincero patriottismo, da grande entusiasmo, e da una fortissima generosità. Forse fu proprio il temperamento così impulsivo e privo di malizia a causare la sua caduta, eliminando il lieto fine alla sua bella favola. Con una serie di investimenti sbagliati distrusse la propria fortuna, morì a Roma il 9 gennaio 1900 e pare che, sul letto di morte, abbia pronunciato una frase: “Non muoio contento perché so di non aver compiuto l’opera mia”. Riposa al Cimitero Monumentale di Torino. Dopo la sua morte l’azienda passò nelle mani della famiglia Signorini e trasferita a San Giovanni Teduccio in provincia di Napoli.
Ma il segno lasciato da Francesco Cirio è di sicuro indelebile, il suo nome è tutt’ora famoso in tutto il mondo. A Castelnuovo Belbo esiste un Museo Cirio e Torino gli ha dedicato una lapide a Porta Palazzo, in piazza della Repubblica 24. Un ricordo e un riconoscimento alla Sua ardimentosa energia , ma anche alla sua intelligente intraprendenza di ragazzo povero. Una curiosità: sulla lapide è incisa la data di nascita errata, 24 dicembre anziché 25, sarebbe il caso di correggerla.
Patrizia Durante