Torino Crime festival
Delitti “mediatici” e giusta informazione tra Dna e profili criminali
Iniziano in autunno una serie d’incontri di avvicinamento alla prossima edizione del Torino Crime Festival che si terrà ad aprile-maggio del 2017.
Il 18 ottobre alle ore 21 presso il Circolo dei Lettori si parte con il noto psichiatra e volto televisivo Alessandro Meluzzi per affrontare il tema dell’informazione sul crimine e principalmente sul fatto che essa è veicolata velocemente dalla tecnologia e dall’apparato mediatico, suscitando nell’opinione pubblica un crescente interesse particolarmente marcato per le notizie di cronaca nera.
Sequestri, omicidi, rapine riscuotono dalla stampa un’eco molto ampia, che insieme al corretto servizio d’informazione potrebbe però in alcuni casi potenziare pericolosamente le menti dei soggetti più suggestionabili come i minori, le persone psichicamente instabili, le personalità psicopatiche ed antisociali e gli adulti socialmente emarginati.
Le notizie su certi delitti spesso forniscono loro uno stimolo negativo, indirizzandoli potenzialmente verso il passaggio all’azione criminale attraverso un fenomeno poco conosciuto detto dell’analfabetismo emotivo. Ognuno reagisce alle notizie a modo suo, secondo le proprie capacità intellettuali, equilibrio emotivo, carattere, convinzioni morali. Fino a quanto c’è del vero in queste affermazioni?
Per rispondere correttamente facciamo una prima considerazione ovvero che l’abilità dei giornalisti dovrebbe essere quella di offrire informazioni oggettive e permettere , in un secondo tempo, ad ognuno di completarle ed arricchirle con opinioni e modi personali di pensare. Una delle critiche che si muove più frequentemente ai media è quella di mostrare immagini e comportamenti violenti, carichi di contenuti criminali. Quello che si può dire è che certamente i mass-media hanno il diritto di cronaca e per certi versi anche l’obbligo di informare i cittadini sull’esistenza e sulla diffusione del delitto. In alcuni casi l’informazione può stimolare addirittura l’azione repressiva e preventiva delle autorità. Purtroppo però uno studio recente ha messo evidenza che il 30% circa delle persone che ricevono informazioni attraverso i media le intendono in modo alterato, spesso comprendendo il contrario di quello che si voleva comunicare. Riuscire a trasmettere le informazioni in modo giusto, pur tenendo conto delle esigenze di semplificazione e divulgazione dovrebbe essere compito del giornalista. Nella sua figura risiede la responsabilità della formazione dell’opinione pubblica, soprattutto in quelle fasce della società dove il basso livello culturale o l’alta suggestionabilità comportano un marcato livello di analfabetismo critico. L’informazione scandalistica, che specula sulle disgrazie altrui, non aiuta la società a migliorare mentre l’obiettivo principale dovrebbe essere quello di dare notizie oggettive e precise, in una parola informare davvero.
L’altro aspetto è: in che modo l’informazione potrebbe aiutare a prevenire il crimine e la sua diffusione sulla popolazione in generale?
Si possono rendere note ad esempio le norme sull’alcol e la guida, sulle problematiche familiari legate alla violenza domestica, lo stalking, sul fenomeno del vandalismo e sull’andamento dei crimini legati alle sostanze stupefacenti. Attraverso i media è possibile far conoscere meglio inoltre – per esempio nei confronti degli immigrati – le strategie di inserimento, quelle per il lavoro, per l’assistenza sociale e per il miglioramento della propria condizione sociale ed individuale, l’esistenza di programmi riabilitativi, dell’attività dei servizi sociali e delle misure sociali finalizzate alla ricaduta nel crimine.
È possibile dar vita a informazioni che incrementino la sicurezza delle aree a rischio come possono essere le banche, le aree commerciali, le scuole e tutti quei luoghi in cui l’accesso è controllato. Possono infine essere migliorate le conoscenze sugli studi per il risanamento urbano, per la tutela dell’ambiente, per diffondere le strategie antidroga, per la lotta alla prostituzione, al gioco d’azzardo. Sulle potenziali vittime sempre attraverso i media è possibile far conoscere al grande pubblico le più importanti misure di protezione e sicurezza in modo che possano avvalersene per le proprie abitazioni, i propri uffici e le proprie auto. Un’informazione di questo tipo è particolarmente utile per le fasce della popolazione che sono più a rischio, come ad esempio le giovani donne, i lavoratori notturni, i funzionari di banca, i rappresentanti di preziosi e per tutte le persone che si occupano della sicurezza (come gli operatori di polizia). È possibile inoltre diffondere informazioni utili per chi, essendo stato vittima del crimine, ha bisogno di assistenza legale, di assistenza psicologica, di accoglienza in centri sociali specializzati, ad esempio, per le vittime di maltrattamento od abuso sessuale.
Per tutti questi motivi, per tutti gli esempi citati e le situazioni rappresentate, i mass-media possono offrire un prezioso contributo nella prevenzione del crimine.
In primo luogo prestando particolare attenzione a non veicolare messaggi negativi come ad esempio il riportare condotte delittuose di criminali camuffati da eroi. Nello specifico questo discorso è particolarmente delicato quando si ha a che fare con gli adolescenti, poiché gli adolescenti passano molto tempo davanti alla televisione, più tempo che non a scuola in quanto potrebbero identificarsi con il soggetto violento e tradurre le immagini in realtà.
Sarà poi il 14 novembre sempre al Circolo dei Lettori alle ore 21 il Generale Luciano Garofano già comandante del Ris di Parma ad affrontare il tema delle scienze forensi, spiegando come la parola “scena” non abbia altro significato se non quello di scena del crimine ovvero quel luogo dove si è verificato un delitto e/o dove è possibile repertare le fonti di prove sia di natura criminalistica che psicologica. Infatti,, la ricostruzione corretta di una “scena” si deve caratterizzare come un’attività di tipo diretto quando è svolta sul luogo attraverso le riprese fotografie ( che servono per cristallizzare la fase di sopralluogo), ma anche come una attività di tipo indiretto ossia organizzata e inserita in un processo di analisi mentale rivolto a ricercare le componenti emotive e le testimonianze particolari della scena del crimine. Nell’elaborazione di un concreto profilo psicologico di un possibile sospettato la traccia in senso ampio assume un significato dilatato se messa in relazione unicamente alla traccia di tipo scientifico; importante è invece che essa sia posta in relazione alla traccia di tipo comportamentale che molto interessa i criminologi .
Si tratta “delle tracce di significato ossia quegli aspetti della scena del crimine che rimandano allo stile dell’autore, al possibile movente; quegli indicatori che, attraverso le azioni compiute e le modalità di attuazione, contengono elementi riferibili al perché è stato commesso il reato”. Naturalmente l’analisi tecnico-scientifica (es. dna, esaltazione e rilievo impronte etc. ) della scena del crimine deve essere la base di partenza per l’elaborazione del profilo psicologico: infatti, la scena criminalistica permette di poter definire la natura del reato e le sue modalità di consumazione rintracciando il cosa e come è accaduto. Il processo del profilo criminologico, invece, rientra nella fase successiva alla ricostruzione e analisi della scena in quanto si serve delle prove c.d. fisiche, emerse sulla scena del reato, per tentare di determinare il perché e il chi. Quindi, fino a quando non si conosce il cosa è accaduto e il come, non si potrà avere una esaustiva base per determinare il chi e il perché è stato commesso un certo delitto specie quelli senza un apparente ragione. Ogni segno che viene a galla sulla scena del crimine, anche il particolare che sembra insignificante, va correttamente interpretato con la visione a una possibile personalità dell’individuo. Ci sono molti elementi ai quali va dato colore e che devono essere interpretati, dotati di un notevole valore sotto l’aspetto criminologico e psicologico in quanto ricalcano l’iter effettuato dal delinquente per portare a termine l’atto criminale dal momento della sua ideazione fino alla presa di distanza dall’atto stesso, compresi i tentativi di depistaggio.
In definitiva le scene del crimine sono un “mosaico” che va ricomposto e colorato in quanto esse possono contenere dei messaggi che, se ben studiati, abilitano l’investigatore e/o il criminologo a scoprire molto sul criminale che ha agito. Infatti, può accadere ad esempio che la vittima venga prelevata in un luogo e morire in un altro o viceversa. L’utilizzo di più scene durante la commissione del crimine fornisce una serie d’indizi circa la personalità, il tipo di criminale: infatti un killer “disorganizzato” può assaltare, uccidere e lasciare il corpo della vittima nello stesso luogo. Fondamentale è l’analisi di peculiari elementi emersi sulla scena del crimine come l’arma usata, una complessa legatura per immobilizzare al vittima, la disposizione del corpo della vittima (che, negli omicidi seriali di natura sessuale, può essere lasciata in posizioni inusuali, degradanti o “messa in posa” con l’intento da parte del criminale di lanciare un messaggio) oppure come il tentativo di manomissione della scena del crimine. Si tratta di fattori che vanno letti con una doppia chiave sia di natura criminalistica, per ricostruire la sequenza dei fatti, che psicologica e criminologica, per ricostruire il comportamento che il criminale ha lasciato sulla scena del crimine. Il connubio scienza e uomo, la compenetrazione dell’indagine scientifica con quella classica devono aver la meglio su ogni altro approccio che è non solo scorretto, ma presuntuoso e non rispettoso delle garanzie a tutela della libertà personale.
Modererà gli incontri il giornalista Beppe Gandolfo, inviato del TG 5.

